domenica 15 giugno 2014

L’Accademia d’Italia fra simboli, propaganda e ricerca culturale di Antonio Barbato

La Reale Accademia d’Italia nacque il I gennaio 1926: Benito Mussolini si fece promotore di un’Accademia nazionale da istituire ex novo, con il compito di aiutare il regime fascista a stringere rapporti con le forze culturali.
I primi accademici, tutti nominati direttamente da Mussolini, furono Giuseppe Pession, Ugo Amaldi, Giuseppe Papi e Rodolfo Benini. Antonio Beltramelli, Pietro Bonfante, Filippo Bottazzi, Armando Brasini, Pietro Canonica, Francesco Coppola, Giotto Dainelli, Salvatore Di Giacomo, Enrico Fermi, Carlo Formichi, Umberto Giordano, Alessandro Luzio, Antonio Mancini, Filippo Tommaso Marinetti, Pietro Mascagni, Francesco Orestano, Alfredo Panzini, Nicola Parravano, Marcello Piacentini, Luigi Pirandello, Pietro Romualdo Pirotta, Ettore Romagnoli, Giulio Aristide Sartorio, Francesco Severi, Bonaldo Stringher, Alfredo Trombetti, Giancarlo Vallauri, Gioacchino Volpe e Adolfo Wildt.
L’Accademia era nata con il decreto legge del gennaio 1926, convertito in legge il 25 marzo 1926 e questo provvedimento, espressione della politica culturale del regime, volta non solo a creare nuove istituzioni culturali, ma anche ad assorbire quelle già esistenti, è un chiaro ed inequivocabile segnale della volontà di sostituire l’“Accademia dei Lincei” con un’istituzione figlia del regime fascista, più funzionale ai compiti di uno stato moderno.
L’Accademia, sebbene fosse stata istituita più di tre anni prima, fu inaugurata soltanto il 28 ottobre del 1929. Perché quattro anni d’incubazione, prima di inaugurarla? Le motivazioni di questo ritardo, nonché le motivazioni che hanno portato alla creazione di una nuova Accademia, furono espresse da Mussolini nel suo discorso inaugurale del 28 ottobre 1929.
«Non vi sorprenda, eccellenze e signori, se io comincio col ricordare agli Italiani che l’Accademia d’Italia è nata il 7 gennaio dell’anno 1926, con un decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri, convertito in legge il 25 marzo successivo. Sono dunque passati quasi quattro anni da allora a questo 28 ottobre dell’anno VII, nel quale l’Accademia entra ufficialmente nella scena del mondo, e inizia il primo ciclo della sua storia, si mette senz’altro al lavoro.
Taluno può pensare che il periodo di elaborazione sia stato soverchiamente lungo. Ma per fare le Accademie, e soprattutto per fare un’Accademia degna di Roma, dell’Italia e del Fascismo, occorreva un certo e piuttosto lungo periodo di preparazione spirituale, politica, amministrativa. Occorreva ancora ripristinare la raffaellesca Farnesina, incomparabile sede! Non si è perduto del tempo, lo si è scrupolosamente impiegato. A quest’opera d’elaborazione si è dedicato con sapienza che chiamerò paterna, con acuto intelletto, con assidua diligenza il vostro presidente, il quale non da oggi può e dev’essere onorato come un benemerito della cultura italiana.
Quattro anni fa si chiese e oggi si ripete: perché un’altra Accademia? L’interrogativo esige una risposta. Nessuna delle Accademie attualmente esistenti in Italia compie le funzioni assegnate all’Accademia d’Italia. O sono Accademie limitate nello spazio, o ristrette nella materia. Talune di esse sono celebri, e quasi tutte, anche le minori, sono rispettabili, ma nessuna ha il carattere d’universalità dell’Accademia d’Italia. Questa nasce dopo due avvenimenti destinati a operare formidabilmente nella vita e nello spirito di un popolo: la guerra vittoriosa e la Rivoluzione fascista. Nasce, mentre sembra esasperarsi, nel macchinismo e nella sete di ricchezza, il ritmo della civiltà contemporanea; nasce quasi a sfida contro lo scetticismo di coloro i quali da molti, sia pure gravi, sintomi prevedono un’eclissi dello spirito che sembra ormai rivolto soltanto a conquiste di ordine materiale.
Questo carattere dell’Accademia d’Italia appare, sotto altri aspetti, evidente. Non è l’Accademia d’Italia mia vetrina di celebrità arrivate e non più disputabili; non vuole essere e non sarà una specie di giubilazione degli uomini insigni o un riconoscimento più o meno tardivo dei loro meriti; non sarà soltanto questo. Voi vedete tra gli accademici delle quattro categorie uomini di origini, di temperamenti, di scuole diverse; uomini rappresentativi di un dato momento sono al lato di uomini rappresentativi di un momento successivo, o attuale, o futuro. L’Accademia è necessariamente eclettica, perché non può essere monocorde.
Nell’Accademia passa così la vita dello spirito, la quale è continua, e complessa, e unitaria: dalla musica alla matematica, dalla filosofia all’architettura, dall’archeologia al futurismo. Nell’Accademia è l’Italia con tutte le tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente, le anticipazioni del suo avvenire.
L’importanza di un’Accademia nella vita di un popolo può essere immensa, specialmente se essa convogli tutte le energie, le scopra, le disciplini, le elevi a dignità. Si può immaginare l’Accademia come il faro della gloria che addita la via e il porto ai naviganti negli oceani inquieti e seducenti dello spirito. La sorte di questi naviganti è varia: talune, naufraga alle prime tempeste, qualche altro finisce nelle secche della mediocrità e del mestiere, i più dotati e i più tenaci, - il genio è anche metodo e pazienza, - talvolta approdano mentre il crepuscolo già discende sulla loro vita, e qualche altro è colpito dal destino alla vigilia del trionfo: vi è, infine, chi tocca la meta nell’età giovanile e virile, ma questo fortunato immortale non può a lungo sostare! Egli ha il dovere di levare le ancore e di spiegare le vele per altri itinerari e per nuove conquiste. Eccellenze, signore, signori! Sono fiero di aver fondato l’Accademia d’Italia: Sono certo che essa sarà all’altezza del suo compito nei secoli e nei millenni della nostra storia. Sono lieto d’inaugurare ufficialmente l’Accademia d’Italia nel simbolo del Littorio e nel nome augusto del Re»
Con queste parole esordì Mussolini, il 28 ottobre del 1929, conducendo il discorso con cui l’Accademia d’Italia «entra ufficialmente nella scena del mondo, si mette senz’altro al lavoro».
Nella stessa occasione Tommaso Tittoni affermò che la nuova Accademia era nata per rappresentare tutti i campi della cultura e ricordando un passo della relazione di Giovanni Gentile al Senato in cui si affermava che in Italia stava fermentando «uno spirito nuovo che ha cercato la sua forma ed il suo organo di formazione storica nella Reale Accademia d’Italia», aggiungeva che gli accademici “solidali ed operosi” avrebbero dovuto rappresentare la nuova Italia e le sue aspirazioni, accrescendo così il prestigio della nazione.
Nata quindi per volontà ed iniziativa di Benito Mussolini, l’Accademia doveva rappresentare la totalità delle attività intellettuali della nazione, distinguendosi dalle altre accademie e dagli altri istituti esistenti, che si erano sempre di più specializzati in settori differenziati e doveva farlo senza spezzare i legami con il passato, innestando nel solco della robusta tradizione italiana lo spirito nato dalla rivoluzione fascista.
Nel settembre 1929, alcune settimane prima dell’inaugurazione ufficiale dell’“Accademia”, il regime incaricò gli organi d’informazione quotidiana di divulgare la notizia relativa all’“uniforme” che i futuri accademici dovevano indossare nelle occasioni ufficiali: la Gazzetta Ufficiale pubblicò il decreto che stabilì l’uniforme degli accademici d’Italia ed il suo uso nelle pubbliche funzioni e cerimonie. Tale uniforme consisteva in un abito a spada in uso nelle uniformi civili, di panno turchino (blue de roi) abbottonato con una sola fila di nove bottoni. Ricami d’argento su disegni di quercia al petto e sulle falde con ornamento, al posto delle tasche, collo e paramani, fioroni e bacchetta intorno all’abito. Bottoni argentati. Pantalone di panno turchino con bande di gallone d’argento. Cappello a feluca con nastro di seta nera, piumata in argento, coccarda nazionale. Spada con elsa argentata e impugnatura d’avorio, porta spada a cartoccio. Mantello di panno con bavero di velluto. Quanto alle varianti per il presidente ed i vice-presidenti, il primo aggiunge intorno al petto e al collo una guida uguale a quella delle falde, aggiunge sulle maniche sopra al paramano due guide simili e porta piuma bianca al cappello. I vice-presidenti aggiungono sulle maniche, sopra al paramano, una guida come sopra.
L’inaugurazione, che cadde nel settimo anniversario della marcia su Roma, si svolse nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio alla presenza del ministro dell’Educazione Nazionale Balbino Giuliani, del presidente dell’Accademia Tommaso Tittoni, di Mussolini e del governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi.
Il Capo del Governo, nel suo discorso di inaugurazione, aveva ricordato che l’Accademia d’Italia aveva avuto il suo battesimo tre anni prima, nel 1926, ed aveva esposto i motivi che avevano portato alla fondazione di una nuova accademia. Si può infatti leggere: «Nessuna delle Accademie attualmente esistenti in Italia compie le funzioni assegnate all’Accademia d’Italia… nessuna ha il carattere di universalità dell’Accademia d’Italia. Questa nasce dopo due avvenimenti destinati ad operare formidabilmente nella vita e nello spirito di un popolo: la Guerra vittoriosa e la Rivoluzione fascista…»
La ragione, però, va ricercata nel fatto che le componenti del Fascismo rimaste fedeli alle sue origini popolane e scamiciate, futuriste e antiretoriche mal digerirono la feluca e Mussolini temette il ridicolo. Su “Politica Sociale”, Margherita Sarfatti aveva espresso le sue perplessità nell’articolo: «Può l’Accademia non essere accademica?» Probabilmente contribuì al ritardo anche il fatto che intellettuali come Benedetto Croce ed il commediografo Roberto Bracco avevano rifiutato di entrarvi.
Ma alla fine del 1929 il regime, sentendosi più forte specialmente dopo la Conciliazione con la Santa Sede, potè completare la rete delle iniziative e di provvedimenti con cui tendeva a dominare tutta la vita culturale.
In precedenza aveva riorganizzato la “Società italiana degli autori ed editori” ed aveva costituito la “Federazione nazionale fascista dell’industria editoriale”, aveva regolamentato la stampa, aveva dato vita ad una serie di riviste legate alle gerarchie del regime, aveva fascistizzato la federazione delle biblioteche popolari, aveva fondato l’“Istituto fascista di cultura”. Insieme con l’Enciclopedia italiana, anch’essa iniziata nel 1929, l’“Accademia d’Italia” completava il sistema di condizionamenti, svolgendo in modo precipuo una funzione di propaganda, specialmente all’estero, e aiutando a stringere buoni rapporti tra il potere e le forze culturali prima tiepidi o agnostiche o anche contrarie al regime.
«L’Accademia d’Italia – ha scritto Giorgio Galli ne “I partiti politici” – trasforma quelli che erano stati gli intellettuali critici e innovatori in personaggi ufficiali paludati sul modello di quelli tipici della Francia borghese (gli pseudo immortali dell’Académie)».
Il provvedimento istitutivo[1] con il quale, giuridicamente, ma non di fatto, prende vita l’Accademia d’Italia recita: «L’Accademia d’Italia ha per iscopo di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservarne puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l’espansione e l’influsso oltre i confini dello Stato».
Il 3 giugno 1929, qualche mese prima della cerimonia di inaugurazione ufficiale, i primi accademici nominati parteciparono, nel salone del Consiglio superiore della pubblica istruzione, con il presidente Tommaso Tittoni ad una riunione privata e confidenziale dell’Accademia in cui furono affrontati temi e problemi che avrebbero successivamente ispirato l’attività dell’Accademia. Furono trattati in particolare quello dell’aiuto agli inventori, della creazione di un ufficio per i brevetti e della diffusione della cultura italiana all’estero. Su quest’ultimo tema era intervenuto Sartorio, che aveva espresso il convincimento che, tra le forme moderne di comunicazione, il cinema rappresentasse uno degli strumenti più adatti per diffondere all’estero le idee e le conquiste italiane, come aveva già ben compreso Mussolini, quando aveva creato l’ “Istituto Luce”. All’Accademia era già stato affidato[2] il compito di curare all’estero la conoscenza dell’attività scientifica e tecnica nazionale, individuando uno spazio che non si sovrapponesse con quello della Commissione italiana per la cooperazione intellettuale, emanazione della più ampia Commissione internazionale. La questione era stata affrontata e parzialmente risolta, stabilendo che l’Accademia avrebbe potuto partecipare alla «diffusione scientifica senza la diretta partecipazione pratica all’attività delle organizzazioni internazionali esistenti (associazioni, accademie, comitati)» che facevano capo alla Società delle nazioni.
Si discusse anche di erogazione di premi, sovvenzioni e pensioni a favore di artisti che versassero in condizioni di povertà, così come, nel delineare l’attività di esplorazione e di ricerca, si avvertì l’esigenza di evitare interferenze con altri istituti culturali, soprattutto con il C.N.R. Di particolare interesse è la questione della conoscenza delle lingue estere, affrontata nella medesima riunione. In quell’occasione, Mascagni era intervenuto dicendo che da trentanove anni viaggiava in tutto il mondo parlando esclusivamente l’italiano e Romagnoli aveva appoggiato questa posizione polemica, insistendo sulla necessità di «essere e rimanere sull’esempio del Foscolo, invasati da italianismo puro», confermando dunque la prospettiva di un’affermazione universale della lingua italiana. In una riunione successiva, Marinetti aveva formulato infine la proposta, accolta e votata dalla classe di lettere, di far entrare più studenti stranieri nelle università italiane.
Da questa prima importante riunione è evidente l’intento di affermare a livello internazionale la cultura italiana, obiettivo emerso sia nelle discussioni precedenti l’istituzione dell’Accademia sia negli annunci ufficiali per la sua creazione e da realizzare, estendendo l’attività degli accademici in tutti i campi della cultura.
L’Accademia d’Italia era suddivisa in quattro classi - Scienze morali e storiche, Lettere, Arti, Scienze fisiche matematiche e naturali – e le sue fila potevano contare su personalità come Giovanni Gentile, Filippo Tommaso Marinetti, Pietro Mascagni, Luigi Pirandello.
Il modello era quello dell’Accademia francese, anche per l’attribuzione di una divisa e di un assegno agli accademici che godevano del titolo di “Eccellenza”.
Un primo gruppo di trenta accademici fu nominato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo 1929, in base ad un elenco compilato da Tommaso Tittoni, Presidente del Senato e futuro Presidente della nuova Accademia, e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Francesco Giunta.
Gli accademici successivamente diventarono sessanta, nominati a vita con decreto reale su proposta del Capo del governo. Essi erano equiparati, in base allo statuto approvato tre anni dopo, ai grandi ufficiali dello Stato e percepivano, a differenza dei soci delle altre accademie, un assegno fisso annuo dal valore di 36.000 lire, oltre ai consueti gettoni di presenza e ai rimborsi spese.
Il primo gruppo di trenta accademici proveniva in prevalenza dai Lincei, ma, successivamente, l’eclettismo cui si ispirava la politica culturale di Mussolini vi portò le varie componenti di cui è costituita l’ideologia fascista: idealismo, nazionalismo, spiritualismo, futurismo. Nel corso degli Anni Trenta, in seguito ai Patti Lateranensi, registrò anche l’inserimento di ecclesiastici, da Lorenzo Perosi al cardinale Pietro Gasparri.
Gli organi accademici erano il presidente, quattro vicepresidenti, un amministratore ed un segretario. Il presidente, che rappresentava l’Accademia, convocava e presiedeva le assemblee generali e le riunioni del Consiglio accademico, di cui stabiliva l’ordine del giorno, sottoscriveva i verbali e controllava l’esecuzione dei deliberati; i quattro vicepresidenti, uno per ogni classe, nei confronti delle rispettive classi avevano poteri e compiti simili a quelli del presidente; l’amministratore curava, attenendosi alle deliberazioni del consiglio accademico, i bilanci preventivi, i conti consuntivi, i mandati e gli ordini di pagamento; il segretario svolgeva le mansioni di segretario nelle adunanze generali dell’Accademia e del Consiglio accademico, redigendo e firmando con il presidente i verbali, ed a lui era affidato l’ufficio di segreteria. Cariche accademiche erano considerate, inoltre, quelle dei segretari delle classi, che oltre a tenere i verbali delle rispettive classi, ne dirigevano i rispettivi uffici di segreteria.
Tutte le cariche accademiche avevano durata quinquennale e potevano essere riconfermate. Il presidente, i vicepresidenti, il segretario e l’amministratore costituivano inoltre il Consiglio accademico, organo preposto a deliberare sull’amministrazione dell’Accademia, sui bilanci e sui consuntivi, sui doni e sui lasciti, sulle azioni da promuovere e sostenere in giudizio e, in base al regolamento, a provvedere alla conservazione ed amministrazione dell’immobile assegnato in proprietà dallo Stato e vigilare sull’intangibilità del fondo patrimoniale; esso doveva anche predisporre l’ordine del giorno delle sedute dell’Accademia riunita in adunanza generale.
Le designazioni per le nomine delle cariche accademiche erano fatte dall’Accademia, riunita in adunanza generale, in seduta segreta e con votazioni a scrutinio segreto: per ogni carica doveva essere proposta una terna di nomi che doveva rimanere rigorosamente segreta, tanto che i verbali di queste adunanze, firmati dal presidente e dal segretario, erano inviati direttamente al capo del Governo, che decideva in merito alle nomine.
Simili erano le modalità delle elezioni degli accademici[3]: quelli appartenenti alle classi dove si era reso vacante un posto, designavano alcuni candidati, di cui discutevano i titoli e i meriti in seduta segreta e, dopo votazione a scrutinio segreto, compilavano una graduatoria con i nomi dei candidati che avevano ottenuto più voti da proporre all’Accademia riunita in assemblea generale ed in seduta segreta.
Anche per queste designazioni vi era l’obbligo della massima segretezza, prima dell’invio al capo del Governo, verbali e relazioni sui candidati dovevano essere anche firmate dai relatori: ogni accademico di nuova nomina aveva «l’onorifico ufficio di pronunziare un’orazione per commemorare lo scomparso accademico che occupava il seggio a lui conferito»[4].
Le adunanze accademiche erano generali o per classi. Nelle prime erano adottate tutte le deliberazioni ad eccezione di quelle di competenza del Consiglio accademico: le assemblee generali potevano essere pubbliche in alcune particolari occasioni, quali il ricevimento per i nuovi accademici, la presentazione di memorie di accademici o di opere di estranei all’Accademia particolarmente interessanti o meritevoli, l’annuncio dei premi, delle borse, dell’esito dei concorsi. Il regolamento stabiliva che una delle adunanze generali fosse tenuta in forma solenne di cui data ed ordine del giorno dovevano essere stabiliti dal Consiglio accademico.
Nelle adunanze ordinarie delle classi si esaminavano e si discutevano gli argomenti di competenza delle singole classi e si formulavano le proposte da sottoporre all’Accademia riunita in adunanza generale. Il regolamento prevedeva che le adunanze delle classi, convocate e presiedute dal presidente dell’Accademia non meno di tre volte nell’anno accademico, potessero riunirsi anche in sezioni separate convocate però dai vicepresidenti. Esso stabiliva inoltre che anche le classi potevano riunirsi, laddove lo si ritenesse opportuno, in adunanza pubblica.
Eccezionali adunanze dell’Accademia o delle classi potevano essere richieste dal Presidente[5] al capo del Governo, udito il Consiglio accademico, qualora si trovasse a Roma un «personaggio straniero di altissimo rango o di chiara fama scientifica, letteraria o artistica, membro di Accademia straniera di primaria importanza», affinché potesse partecipare all’adunanza a titolo onorifico. In effetti, furono convocate adunanze straordinarie anche per altri motivi: ad esempio l’adunanza del 14 agosto 1933 fu convocata per permettere a Guglielmo Marconi di divulgare i primi risultati delle trasmissioni con microonde; quella del I marzo 1934 fu convocata addirittura a Gardone, per commemorare Gabriele D’Annunzio.
Alcune modifiche allo statuto[6] furono naturalmente recepite nel nuovo regolamento approvato dal capo del Governo[7] e fino al 1937 non ci furono nuove leggi e decreti specifici per l’Accademia d’Italia, ma soltanto norme relative a tutte le accademie ed istituti culturali, aventi per oggetto soprattutto le nomine dei presidenti. In tal senso, un nuovo decreto[8] per «rendere, ove [occorreva], più efficace il funzionamento e adeguare sempre più i fini degli Istituti di cultura in genere alle esigenze politiche e culturali del Regime» imponeva a tutte le accademie, le associazioni di scienze, lettere ed arti e gli istituti culturali, la revisione di tutti gli statuti e regolamenti e il giuramento di tutti i presidenti e membri di questi enti culturali con la seguente formula: «giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato e di esercitare l’ufficio affidatomi con animo di concorrere al maggiore sviluppo della cultura nazionale». Il presidente dell’Accademia d’Italia, per il ruolo che andava assumendo tale istituzione[9], sarebbe stato l’unico a prestare giuramento nelle mani del capo del Governo mentre gli altri presidenti avrebbero giurato nelle mani del ministro per l’educazione nazionale o dei prefetti delle province, i soci nelle mani dei rispettivi presidenti.
Nei primi anni di vita, l’Accademia si preoccupò dei fondi e ne trovò presso i fratelli Mario, Aldo e Vittorio Crespi, proprietari del “Corriere della Sera”, che istituirono quattro premi annuali, intestati a Mussolini, ciascuno di 50.000 lire. Altri fondi furono elargiti dalla “Società Edison” che, per iniziativa fervidamente concepita e sostenuta dal proprio presidente, l’On. Giacinto Motta costituì la “Fondazione Alessandro Volta” annessa alla Reale Accademia d’Italia. Essa fu istituita nel maggio 1930, presso la stessa Accademia, grazie anche alla donazione, da parte della società Edison, di una somma di denaro pari a otto milioni e centomila lire. Tale “tesoretto” doveva servire, secondo lo statuto, per metà ad organizzare i convegni internazionali Volta, tenuti annualmente su un argomento scelto a turno dalle quattro classi, e l’altra metà per borse di studio, viaggi di istruzione per studiosi e scienziati italiani, per missioni italiane all’estero, per premi alle scoperte più importanti.
La stessa “Fondazione Alessandro Volta” promosse un’iniziativa di grande rilievo: l’organizzazione del primo Convegno Volta, ovvero del “Congresso internazionale di fisica nucleare” del 1931. Dalla Fondazione Volta provenivano anche i contributi per gli stessi “Convegni”.
Nel corso degli anni, presso l’Accademia si costituirono alcuni centri di studio e commissioni con il compito di promuovere particolari ricerche scientifiche, coordinare l’attività dell’Accademia in alcuni settori, dar vita ad importanti progetti e ricerche e stimolare nuove iniziative.
La legge[10] 1929 prevedeva che fossero conferite borse di studio e di perfezionamento e che fossero istituite ed amministrate fondazioni per il conferimento di premi a lavori scientifici, letterari e artistici: in merito a ciò il regolamento stabiliva che ogni fondazione avesse il proprio statuto, che le commissioni giudicatrici dei premi e delle borse, se non ci fossero state clausole nei singoli statuti, fossero designate dal presidente dell’Accademia d’Italia su segnalazione della classe competente, che doveva esaminare e discutere le relazioni della commissione e quindi sottoporle all’approvazione dell’Accademia.
I premi erogati dall’Accademia erano numerosi: encomi solenni, premi di incoraggiamento e sovvenzioni, premi reali, premi Mussolini del “Corriere della sera”, premi ministeriali del “Ministero dell’educazione nazionale”, ed inoltre alcuni premi erogati per determinati fini, come i premi “Roma per gli Stati del Sud America”, il “Gran premio delle arti”, il “Premio del Littorio” e il “Premio Roma”, il “Premio Umberto Boccioni” di arte futurista. Vi erano, inoltre, i premi di incoraggiamento: una delle finalità assegnate all’Accademia[11] era quella di erogare premi di incoraggiamento sul diritto d’autore[12], e di «aiutare con sussidi (…) letterati scienziati, artisti di benemerenze universalmente riconosciute (…) che non godano di altri assegni sul bilancio dello stato»[13].
Il regolamento successivo rinviava l’applicazione ad un altro regolamento speciale da approvarsi con decreto del Ministero per la pubblica istruzione, udito il parere del presidente dell’Accademia.
Due furono i regolamenti fondamentali emanati per regolare tale materia. Nel primo, del 1930, si legge che potevano ambire ai premi di incoraggiamento «gli autori, enti ed istituti che abbiano eseguito, ben avviato e promosso opere di particolare pregio ed importanza per la cultura e l’industria, compresa l’industria teatrale (…)». Le domande dovevano giungere entro il 30 novembre ed entro tale data gli Accademici avevano anche la facoltà[14] di segnalare per iscritto opere di particolare interesse per la cultura e per l’industria per le quali non era stata presentata domanda. In base alle domande accolte, il Consiglio accademico indicava «in via provvisoria quale somma nel complessivo fondo disponibile, [poteva] essere riservata a ciascuna classe (…)» che con successive discussioni e votazioni designava i candidati da proporre e la somma da assegnare.
Il Consiglio accademico doveva formulare, quindi, le proposte definitive che dovevano essere approvate dall’Accademia riunita in adunanza generale. L’elenco dei premiati era inviato al Ministero per l’educazione nazionale per i successivi adempimenti amministrativi.
In questo primo regolamento non si citavano espressamente encomi e sovvenzioni, ma nelle relazioni lette nelle adunanze solenni delle premiazioni, si faceva spesso cenno ai premi minori erogati come incoraggiamento; si leggeva, ad esempio, nel discorso tenuto da Gioacchino Volpe in Campidoglio il 21 aprile del 1932, che «la parola ‘incoraggiamento’ è suscettibile di larga interpretazione. E largamente è stata interpretata dall’Accademia: la quale ha creduto e crede che è incoraggiamento anche premiare chi ha fatto in altri tempi, anche aiutare la famiglia di chi ha fatto (…)». Non era previsto un limite per l’assegnazione di premi e di sovvenzioni per le classi, perché in base al numero delle assegnazioni era differenziata la cifra.
Il 19 Luglio 1938, con delibera del consiglio accademico, fu stabilito che i premi sarebbero stati sedici, ossia quattro per ogni classe, ognuno equivalente alla somma di £ 10.000. Inoltre sarebbero state erogate £ 230.000 per le sovvenzioni ed altre £ 100.000 per incentivare le pubblicazioni. Il presidente dell’Accademia rivestiva un ruolo precipuo nella dispensa dei premi, siccome era incaricato di visionare elenchi e relazioni riguardanti le varie classi, prima di essere sottoposte al consiglio accademico. Quest’ultimo stabiliva annualmente quanti premi e quanti encomi dovevano essere assegnati per ciascuna classe, indicando, per i premi, anche l’importo. L’elenco dei premiati e degli encomiati era pubblicato nel “Bollettino ufficiale” del “Ministero dell’educazione nazionale”. Il “Premio Mussolini” del “Corriere della Sera”, assegnato per la migliore opera o complesso di opere, scelte tra quelle apparse o compiute nell’ultimo decennio e attinenti alle discipline morali e storiche, alle scienze, alla letteratura, alle arti, era conferito dall’Accademia senza concorso ogni anno dal 1931, e fino al 1939 era costituito da quattro premi, uno per ogni classe, da £ 50.000 ciascuno. Il Consiglio accademico, nella seduta del 19 luglio 1938, stabilì che dal 1939 il premio sarebbe stato uno solo di £ 200.000 assegnato a turno dalle quattro classi ed avrebbe rappresentato, come recita il regolamento del premio, un «alto e solenne riconoscimento ad una attività illuminata spesa a vantaggio dell’alta cultura, nell’incremento degli studi storici e filosofici, nella ricerca scientifica e nella creazione letteraria e artistica».
Il Ministero dell’educazione nazionale istituì nove Premi ministeriali [15] annuali di £ 4.000 ciascuno, destinati a presidi, direttori e professori di istituti e scuole dell’ordine medio e superiore, a funzionari delle biblioteche pubbliche e ad aiuti e assistenti delle università e riguardavano le discipiline di scienze filosofiche e sociali; scienze giuridiche, economiche e corporative; scienze storiche; scienze filologiche; scienze paleografiche, bibliografiche, biblioteconomiche; scienze matematiche; scienze fisiche; scienze chimiche; scienze naturali.
L’Accademia d’Italia nominava la commissione giudicatrice, giudicava del merito dei lavori e proclamava i vincitori nell’adunanza generale solenne. Tra i premi ministeriali vi erano anche i premi annuali destinati agli insegnanti dei regi istituti nautici.
Il numero dei premi era determinato in relazione allo stanziamento in bilancio ed il premio era di £ 3.872. Ogni anno erano conferiti per materia: nel primo anno metà dei premi ai migliori lavori di scienze nautiche e metà ai migliori lavori su argomenti di natura pedagogico-professionale; nel secondo anno metà dei premi ai migliori lavori di scienze meccaniche e costruttive navali e metà ai migliori lavori di carattere tecnico-economico-industriale; nel terzo anno metà dei premi ai migliori lavori su argomenti di scienze matematiche e metà ai migliori lavori attinenti alle scienze storiche e geografiche; nel quarto anno metà dei premi ai migliori lavori su argomenti di scienze fisiche e chimiche e metà ai migliori lavori di scienze filologiche comprese le letterature moderne.
Molte erano le commissioni istituite dall’Accademia per progetti specifici, pubblicazioni o studi speciali, quali la Commissione per la toponomastica e quella per l’italianità della lingua, o ereditate dall’Accademia dei Lincei, quali la Commissione per la pubblicazione degli “Atti delle assemblee costituzionali italiane” o il Comitato per l’edizione nazionale dei classici greci e latini e la Commissione per lo studio e la prevenzione delle grandi calamità, di cui è stato ritrovato l’archivio: quest’ultima fu costituta il 26 dicembre 1923, su proposta del senatore Giovanni Ciraolo, presso l’Accademia nazionale dei Lincei per onorare la memoria di Luigi Razza, Ettore Marchiafava e Mario Baratta in nome dei quali furono anche banditi tre premi. Tale commissione doveva rappresentare l’organizzazione scientifica italiana in rapporto ai fini propri della “Unione internazionale di soccorso”. Fu trasferita, in seguito, all’Accademia d’Italia [16].
In questo contesto si colloca il tentativo di Mussolini di riunire il “Cnr” all’“Accademia d’Italia”, ma questo progetto non soddisfece Guglielmo Marconi, allora presidente del “Cnr”, che si oppose al tentativo di fusione. Fallito il tentativo, Mussolini conferì all’“Accademia d’Italia” il compito di rappresentare all’estero la cultura scientifica italiana.
Nella prima adunanza generale pubblica dopo l’istituzione, il 7 giugno 1930, Gioacchino Volpe, segretario generale dell’Accademia, aveva sintetizzato l’attività del primo anno dell’istituto, nel quale gli accademici avevano dovuto «orientarsi, affiatarsi, stabilire un metodo di lavoro, ripensare cameratamente i fini posti dallo statuto, uniformarsi ad una tradizione», e aveva illustrato l’attività editoriale, che pur tra le incertezze e le difficoltà degli avvii, occupava un posto di primo piano tra i compiti che l’Accademia andava svolgendo. Tra le pubblicazioni in programma v’era anche la preparazione di una serie di studi e ricerche volti ad illustrare le ricchezze degli archivi italiani e stranieri, relativamente alla storia d’Italia, proposti dalla classe di scienze morali nella seduta del 4 aprile nella quale Alessandro Luzio aveva posto il seguente ordine del giorno: Gioacchino Volpe aveva annunciato che era in corso di perfezionamento giuridico l’atto di donazione “Edison” per la costituzione della Fondazione Volta, «il cui reddito sarebbe stato a beneficio di tutta l’Accademia, con particolare riguardo alla classe di scienze», fondazione che non solo avrebbe dovuto provvedere ad erogare borse di studio, ma in collaborazione con l’Accademia, avrebbe dovuto organizzare annualmente, a turno per le quattro classi, un convegno internazionale di studio. Negli anni seguenti si svolsero i convegni di “Fisica nucleare” (1931 ott. 11-18), su “L’Europa” (1932 nov. 14-20), di “Immunologia” (1933 set. 25-ott. 1), sul “Teatro” (1934 ott. 8-14), sull’“Alta velocità in aviazione” (1935 set. 30-ott. 6), sui “Rapporti dell’architettura con le arti figurative” (1936 ott. 25-31), su “Lo stato attuale delle conoscenze sulla nutrizione” (1937 set. 26-ott. 2), su “L’Africa” (1938 ott. 4-11) ed erano stati programmati quelli sulla “Matematica contemporanea e sue applicazioni” (1939 ott. 22-28), su “La missione della poesia nella vita moderna” (1940), sulla “Codificazione del diritto nel nuovo ordine politico-sociale” (1942), che però non ebbero luogo a causa degli eventi bellici.
La vicenda dell’Accademia d’Italia fu segnata da tre presidenze significative: Marconi, d’Annunzio e Luigi Federzoni.
Nel settembre 1930, Tommaso Tittoni rassegnò le dimissioni, per gravi motivi di salute, dalla carica di Presidente della Reale Accademia d’Italia. Due giorni dopo, nell’adunanza segreta del 18 settembre, fu designato per acclamazione Guglielmo Marconi quale nuovo Presidente dell’Accademia.
Il prestigio dell’incarico indusse lo scienziato a dedicarsi subito e con grande impegno alla nuova attività. Dal suo discorso di insediamento alla presidenza, del 19 settembre 1930 si legge: «Altezza Reale, Duce, Eccellenze, Signore, Signori! […] Nell’assumere l’altissimo ufficio di Presidente della Reale Accademia d’Italia, chiamato dal voto degli Accademici, dalla fiducia del Capo del Governo, e col consenso augusto di S.M. il Re, esprimo tutta la mia riconoscenza per l’alto onore conferitomi e dichiaro altresì che sento tutta la responsabilità dell’importantissima carica. ‘Non privilegi, ma doveri’, sarà la mia divisa verso me stesso. […]».
La nomina di Marconi comportò, per l’Accademia, l’assunzione di numerosi incarichi programmati per organizzare la politica culturale italiana. Incarichi che ebbero immediatamente grande visibilità sia nel paese che all’estero, grazie, oltre che alla qualità di certe iniziative, anche all’uso preponderante della propaganda del regime, attraverso i giornali, la radio e la cinematografia.
Con Marconi Presidente, all’Accademia d’Italia fu conferito definitivamente dal regime il ruolo di rappresentante all’estero della cultura scientifica italiana.
In quegli anni, Marconi concentrò in sé la carica di Presidente del CNR e della Reale Accademia d’Italia e, in virtù di questo, avviò una proficua collaborazione tra i due organismi, fino alla costituzione di un comitato tecnico-scientifico, di cui faceva parte anche Enrico Fermi, accademico d’Italia e, al tempo stesso, segretario del Comitato di Fisica del CNR.
Poiché uno dei fini dell’Accademia era quello della pubblicazione di atti, memorie, comunicazioni fatte dagli accademici, o da estranei all’Accademia, ma comunque meritevoli di essere pubblicati[17], il regolamento stabiliva alcune norme per le pubblicazioni accademiche[18]. Le pubblicazioni ordinarie erano i rendiconti che contenevano brevi note, proposte o deliberazioni dell’Accademia[19], venivano proposti lavori di più ampio respiro o lavori premiati dall’Accademia. Nelle “Memorie” dovevano essere pubblicati soltanto i lavori della classe di scienze fisiche mentre la classe di scienze morali e storiche doveva dare vita alla collana “Studi e documenti” e l’Accademia doveva avviare inoltre altre serie e collane per raccogliere note, discorsi, commemorazioni via via che l’attività diventava più ampia e diversificata.
Le pubblicazioni straordinarie avevano contenuti e fini attinenti all’attività culturale dell’Accademia ed in particolare a quelli[20] relativi ai risultati delle indagini e ricerche scientifiche, all’esplorazione e descrizione di fondi di manoscritti e stampati presenti negli archivi e nelle biblioteche italiane o fondi e manoscritti stranieri rilevanti per il pensiero e la civiltà italiana[21].
Ogni anno inoltre era pubblicato l’Annuario che conteneva tutte le disposizioni concernenti l’Accademia, i premi, le borse e le fondazioni che essa amministrava, le indicazioni delle cariche accademiche, l’elenco degli accademici con un breve cenno biografico, l’ordinamento degli uffici, l’elenco delle pubblicazioni edite dall’Accademia e notizie particolareggiate sull’attività dell’anno. Queste disposizioni non cambiarono nel corso degli anni e nel mutare di leggi e regolamenti; la continuità fu probabilmente assicurata anche dalla presenza costante e continua del prof. Antonio Bruers, che fu il responsabile delle pubblicazioni per tutto il periodo di vita dell’Accademia d’Italia: dal 1929, in qualità di responsabile della sezione pubblicazioni degli uffici di segreteria affidata al vicecancelliere, e dal 1938 proprio nella qualità di capo ufficio pubblicazioni.
Con la fusione, l’Accademia d’Italia ereditò anche le pubblicazioni istituzionali dell’Accademia dei Lincei, cioè le “Memorie” e i “Rendiconti” della classe di scienze fisiche, matematiche e naturali e della classe di scienze morali e storiche, i “Monumenti antichi” e le “Notizie degli scavi”.
Nel 1933, l’Accademia d’Italia pubblicò nella collezione “Varia” il primo di cinque volumi di una prestigiosa opera editoriale: la versione tradotta da Michele Kerbaker del “Mahabharata”, il più grande poema epico conosciuto.
Dalla prefazione degli editori si legge: «Sognare a occhi aperti è pure una delle maggiori gioie della vita, e a leggere il Mahabharata si sogna, né più né meno. La fantasia di quegli antichi bardi è fresca, inesauribilmente fervida e feconda, addirittura stupefacente. Noi oggi quella fantasia la abbiamo perduta, forse perché a furia di compiere cose fantastiche: corrispondere senza nessun tangibile mezzo da un continente all’altro, traversare l’aria con la stessa facilità e sicurezza che il mare con navi poco meno veloci del pensiero, siamo diventati incapaci di sbrigliare l’immaginazione. Oggi le cose fantastiche si fanno, non si pensano più. I nostri scrittori d’immaginazione più si sforzano d’essere originali e più restano aderenti, appiccicati alla realtà.
Noi non sappiamo più sognare ad occhi aperti, ma vegliamo, continuamente vegliamo…Sembra che le ali del velivolo abbiano tarpato le ali della fantasia»[22]. Tuttavia, nonostante il superbo lavoro di Kerbaker, le cinquemila e più ottave tradotte hanno avuto bisogno di essere rivedute e corrette[23] e l’ultimo volume, il quinto, uscì nel 1939.
Il 23 febbraio 1934, Marconi firmò una deliberazione che sanciva l’obbligo, per ogni aspirante funzionario o subalterno, di iscriversi al Partito Nazionale Fascista. Le successive leggi emanate riguardarono il riassetto dell’apparato burocratico, nella fattispecie del sistema di nomina di presidenti e vicepresidenti. In un primo momento, infatti, la candidatura dei presidenti spettava all’Accademia, fino a quando un nuovo regio decreto stabilì che la nomina fosse ratificata con un decreto reale, per proposta del capo del Governo in accordo con il Ministro dell’educazione nazionale, una volta sentito il Consiglio dei Ministri. Inoltre si stabiliva che il presidente sarebbe stato scelto tra persone estranee all’Accademia.
Per quanto riguarda le modifiche allo statuto deliberate dall’Accademia in adunanza generale e successivamente approvate con decreto reale[24], la legge del 1937 escludeva la preventiva deliberazione dell’Accademia, prevedendo che le modifiche fossero apportate direttamente con decreto reale, su proposta del capo del Governo, del Ministro dell’educazione nazionale e, qualora riguardassero il personale o comportassero oneri finanziari, del ministro delle finanze. Per le modifiche al regolamento l’iter sarebbe stato analogo, ma esse sarebbero state emanate con decreto del capo di Governo.
Guglielmo Marconi scomparve il 20 luglio 1937. Nello stesso anno[25], Gabriele D’Annunzio fu eletto Presidente della Reale Accademia d’Italia. A Mussolini, che gli aveva proposto la prestigiosa carica, così rispose:
Grande Compagno,
Capo dei Combattenti d’Italia,
mio Capo
Pur conoscendo la mia avversione agli offici e avendola approvata e secondata in tempi più sereni, Tu oggi mi desideri alla Presidenza dell’Accademia d’Italia come per risollevare sessant’anni di coltura latina e di pura devozione alla Patria latina.
La novissima Accademia accoglie e raccoglie il fiore dell’ingegno e degli studi onde s’orna la nostra “Alma Parens”. Da quegli ingegni appresi a comporre la mia dottrina umana. Per quegli studi conobbi fin nelle origini prime e divinai nelle estreme forme del futuro la nobiltà e l’opulenza del linguaggio che io parlo e scrivo.
Perciò designato, io non entro se non in una fucina insigne, ove l’opera più fulgente sorge dal più duro lavoro. “Labor omnibus unus”.
O compagno, in Te serro sul mio petto fedele il più italiano dei cuori, il più invitto dei destini.
“Palmam refers”
Il Vittoriale, 21 settembre 1937.
D’Annunzio non aveva mai preso la tessera del partito (se si prescinde da un’iniziale, effimera adesione al fascio di Fiume), e d’altra parte a molti fascisti dava fastidio la sua cultura “infraciosata” e decadente, il suo erotismo che aveva l’aria di una versione corrotta della virilità romana, l’atteggiamento indisciplinato e anarcoide. Per anni aveva giurato che mai avrebbe accettato di diventare membro dell’Accademia (che chiamava: la “mangiatoia degli Acca”) ma non ebbe la forza di rifiutare. D’Annunzio tentò dapprima di limitarla a quella onoraria, ma il 20 settembre del 1937 Mussolini gli scrisse: «Non credo sia il caso. Tu non puoi né devi scendere a questo compito di figurante. Non è nel tuo stile e nemmeno nel mio». La presidenza di D’Annunzio, però, si limitò, per quello che riguardava le sue funzioni di ordinaria amministrazione, nella nomina di un vice. Il poeta non mise mai piede alla Farnesina. Il 21 novembre, la Reale Accademia d’Italia si riunì nella sala Giulio Cesare in Campidoglio - in adunanza generale pubblica, per l’inaugurazione del nono anno accademico e per la solenne commemorazione di Guglielmo Marconi. Alla seduta assistettero il Re e la Regina, il Ministro dell’Educazione Nazionale Bottai, il Presidente del Senato Federzoni e numerose altre cariche dello Stato, oltre alla marchesa Cristina Marconi, vedova del grande scienziato. D’Annunzio, Presidente dell’Accademia, non potè partecipare all’adunanza, tuttavia, non fa mancare il suo saluto al Re tramite un messaggio che Formichi, Vice presidente della Reale Accademia d’Italia, legge al cospetto di tutti. Allorché Vittorio Emanuele emise il decreto di nomina, D’Annunzio gli mandò un messaggio: «Gli anni e le malattie hanno resa la mia voce rauca e fievole; forse ritornerà alta e bella nell’ultima parola formulata dalla Morte». Al funerale del poeta, scomparso nel marzo del 1938, Mussolini indossò l’uniforme dell’Accademia. Il Vate rimase alla presidenza per un breve periodo. Morì il I marzo 1938.
In seguito delle disposizioni del 1937-1938, l’Accademia divenne cardine e perno di un’organizzazione degli istituti culturali organica al governo[26]. Il quadro era completato con l’istituzione del Consiglio nazionale delle accademie, nel quale l’Accademia d’Italia avrebbe avuto funzioni di preminenza e di coordinamento su tutta l’attività accademica italiana.[27]
Dopo la morte di D’Annunzio, Luigi Federzoni, alto gerarca del Fascismo nonché presidente del Senato, resse le sorti dell’Accademia d’Italia. Il 21 aprile, nella Sala degli Orazi e Curiazi del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio, alla presenza del Re, si aprì l’adunanza generale pubblica per la solenne commemorazione di D’Annunzio. Nella stessa occasione furono conferiti i Premi Mussolini del “Corriere della Sera”. Tra i premiati, nel campo delle Scienze, c’era Franco Rasetti, presentato da una relazione di Enrico Fermi[28]. Uno dei primi frutti della presidenza di Federzoni si ebbero il 21 giugno 1938, quando, presso l’Accademia d’Italia fu istituito il Consiglio nazionale delle accademie, a presiedere il quale fu chiamato il presidente dell’Accademia stessa coadiuvato da due vicepresidenti nominati dal ministro per l’educazione nazionale, per la durata di due anni. In base alla legge di istituzione, facevano parte del consiglio nazionale i presidenti delle quattro classi dell’Accademia d’Italia e di tutte le più prestigiose accademie italiane. Compito del consiglio, che sostituiva l’Unione accademica nazionale, era quello di «promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano attraverso le attività dei singoli istituti e di prestare la collaborazione nazionale alle ricerche e pubblicazioni promosse dall’Unione accademica internazionale».
 Fu in questo periodo che, sull’onda delle conquiste coloniali italiane, nacque[29] il “Centro di studi per l’Africa orientale italiana” che, finanziato dalla stessa Accademia e dal Ministero delle colonie, aveva il compito di promuovere missioni scientifiche nei territori africani per la loro valorizzazione e per lo studio territoriale ed etnografico ed anche il ruolo di coordinatore di tutte le iniziative e proposte di enti e privati relativamente a questi territori. Furono organizzate moltissime missioni, al lago Tana, nel Tigrai, nei paesi del Borana i cui risultati furono pubblicati in numerosi volumi. Presidente del centro fu nominato Alberto de’ Stefani, Giotto Dainelli ne assunse la direzione.
Sotto la direzione di Francesco Ercole nacque nel 1939 il Centro di studi per l’Albania, che già dopo il primo anno di vita aveva promosso diverse attività per la raccolta di documenti sulla storia albanese, culminate con la pubblicazione degli “Acta et diplomata res Albaniae illustrantia”. Al centro si devono anche lo studio del territorio, la divulgazione degli studi attraverso la “Rivista d’Albania” e lo studio etnografico e linguistico che ha dato vita all’“Atlante linguistico albanese”.
Il “Centro studi per il vicino Oriente”, istituito presso l’Accademia nel 1941, doveva illustrare e valorizzare i rapporti culturali e storici tra l’Italia e il mondo orientale, affiancando e coordinando l’attività dell’Accademia con nuove iniziative. Il centro aveva la sua sede presso la “Fondazione Caetani”, che ne era stata la promotrice e svolgeva la sua attività oltre che con i fondi dell’Accademia anche con i contributi del Ministero degli esteri e di quello dell’Africa. Tra il 1941 e il 1943, il centro promosse due corsi di lezioni sul mondo musulmano pubblicate dall’Accademia nella collezione “Conferenze e letture”.
Nel 1941[30] fu istituito il “Centro studi per la Svizzera italiana” sotto la presidenza di Arrigo Solmi, con l’intento di approfondire i rapporti tra i due paesi, attraverso conferenze, lezioni, indagini nei reciproci archivi. Il periodico “Archivio storico della Svizzera Italiana”, e la collana dei “Quaderni” erano le pubblicazioni edite dal centro che cessò la sua attività per mancanza di fondi al momento del trasferimento dell’Accademia a Firenze.
Nel 1942, fu istituito il “Centro studi per la Dalmazia”, diretto da Alfredo Schiaffini, con lo scopo di pubblicare il “Corpus scriptorum Dalmaticorum” che, in 50 volumi, doveva presentare le opere di scrittori dalmati dai tempi di Roma fino all’800. Il progetto però rimase tale a causa degli eventi politici.
Quasi agli sgoccioli della vita accademica, nacque, su proposta di Raffaele Pettazzoni, il “Centro di studi per le civiltà primitive”, con lo scopo di studiare le trasformazioni delle diverse attività dello spirito umano, quali il linguaggio, la religione, l’arte e la vita economica e sociale, nelle società primitive. Il centro non ebbe modo di esplicare la sua attività, tanto che nel 1944 i fondi ricevuti dal “Ministero dell’educazione nazionale” e dal “Ministero dell’Africa” erano ancora integri.
«Questi centri – scrive Giovanni Paoloni – avevano finalità collegate in modo più o meno evidente alla politica estera e interna del regime, ed in particolare alla propaganda per la cultura italiana all’estero e alla battaglia per il ‘purismo’ linguistico».
Nel gennaio 1942, Luigi Federzoni sciolse la Commissione per lo studio e la prevenzione delle grandi calamità, precedentemente istituita, e diede vita alla Commissione italiana di studio per i problemi del soccorso alle popolazioni.
Durante la presidenza di Federzoni, si verificarono alcuni eventi particolarmente importanti: tra questi, la fusione tra l’Accademia dei Lincei e l’Accademia d’Italia.
Nonostante la rilevanza di questa legge è un dato che nei mesi precedenti alla sua emanazione non si discusse molto di questo progetto né nelle sedute dell’Accademia d’Italia né in quelle dell’Accademia dei Lincei. Nell’archivio di quest’ultima è stato trovato solo un accenno nella seduta del consiglio di presidenza del 31 maggio 1939 quando «il presidente mette brevemente al corrente i colleghi sull’enunciata fusione dell’Accademia dei Lincei con l’Accademia d’Italia». Nell’archivio dell’Accademia d’Italia si trovano due relazioni in proposito, una, senza data e senza firma, inviata al cancelliere Arturo Marpicati, in cui si legge che «la fusione delle due accademie è inevitabile perché se l’istituzione dell’Accademia d’Italia ha tolto prestigio ai Lincei, i Lincei diminuiscono l’importanza scientifica dell’Accademia d’Italia». Nella stessa relazione erano inoltre esaminati i problemi che la fusione avrebbe comportato soprattutto per l’assorbimento degli accademici lincei nell’Accademia d’Italia e erano proposte alcune soluzioni, quali quella di inserire solo i soci nazionali e non quelli corrispondenti e stranieri, quella di chiamare solo i soci nazionali che non fossero senatori, e quella infine di mantenere il titolo onorifico vitalizio di accademico linceo per tutti gli accademici lincei non chiamati a far parte della nuova accademia. La seconda relazione “Riforma dell’Accademia d’Italia”, firmata da Luigi Federzoni e consegnata a Mussolini il 22 maggio 1939, riportava le finalità e le modalità per la fusione. In essa si legge che tre erano le finalità: eliminare “il dannoso dualismo” tra le due accademie, «assicurare l’efficace e costante svolgimento dell’opera scientifica e culturale demandata dal Duce all’Accademia d’Italia» e infine, «conformare pienamente il funzionamento dell’Accademia stessa alle esigenze politiche del Regime, sopprimendo tutte le disposizioni riflettenti un superato orientamento demoliberale, che vincolano ancora in senso anacronistico la vita di un’istituzione creata dal Duce con intento e indirizzo tipicamente fascista». Federzoni forniva alcune proposte per evitare che lo scioglimento dell’Accademia dei Lincei potesse essere commentato «principalmente dal ceto scientifico antifascista come la prova decisiva delle asserite tendenze anticulturali del Regime fascista».
Un altro accenno alla necessità della fusione si trova in una relazione dal titolo “La Reale Accademia d’Italia”, in cui si insisteva sull’universalità dell’azione dell’Accademia d’Italia, impossibile da raggiungere in una «pacifica indipendente coesistenza delle due accademie perché se anche i compiti erano alquanto divergenti, le finalità erano uniche e la necessità di un lavoro comune non avrebbe tollerato il presupposto di una gelosa indipendenza».
La legge del 1939 che attribuiva quindi tutte le attività e consistenze patrimoniali dell’Accademia dei Lincei alla nuova Accademia d’Italia, recepiva in parte queste indicazioni; infatti, furono elevati a venti gli accademici di ogni classe ed i cinque aggiunti dovevano essere nominati dal Governo che li sceglieva, per le classi di scienze fisiche, matematiche e naturali e scienze morali e storiche tra i soci nazionali e i soci corrispondenti dei Lincei e, per le classi di lettere e arti che non avevano il corrispondente nell’Accademia dei Lincei, tra personalità anche esterne. Il presidente dell’Accademia dei Lincei entrava quale membro aggregato nel consiglio accademico dell’Accademia d’Italia, gli altri avrebbero avuto tutti la nomina di soci aggregati e avrebbero partecipare soltanto alle adunanze a carattere scientifico. Con la nuova legge, inoltre, non avrebbero potuto essere autorizzate modifiche statutarie se non dal Governo con decreto reale. Lo statuto[31] dava le disposizioni per attuare la fusione delle due accademie e l’istituzione della nuova accademia che doveva assistere e integrare «l’attività degli organi di governo per la risoluzione dei problemi scientifici, letterari e artistici che interessino la vita sociale della Nazione».
Le modifiche apportate allo statuto riguardavano soprattutto i poteri conferiti al presidente; in base al nuovo statuto l’Accademia non aveva voce nelle nomine delle cariche accademiche che avvenivano con decreto reale. Anche le nomine dei nuovi accademici dovevano essere deliberate dalle rispettive classi e dall’adunanza plenaria non più per voto segreto, ma in seguito a giudizio critico dato dagli accademici sui vari nomi proposti, ed espresso in forma palese come del resto avveniva per il conferimento delle cattedre universitarie.
Con la stessa legge, particolare importanza era data al cancelliere che diventava responsabile di tutti gli uffici dell’Accademia ed era nominato con decreto del ministro per l’educazione nazionale su designazione del presidente.
Tra le iniziative varate dall’Accademia d’Italia in questo periodo si segnala la pubblicazione di tutti gli scritti di Guglielmo Marconi. La proposta di raccogliere le opere del grande scienziato fu decisa l’anno precedente da D’Annunzio, subito dopo la scomparsa del grande scienziato. In occasione dell’adunanza della Classe delle Scienze fisiche, matematiche e naturali del 27 maggio 1938, Vallauri informò che il Capo del Governo aveva destinato alla pubblicazione dell’opera la somma di centomila lire offerta dalla società Italo-Radio. Alla fine, il volume “Scritti di Gugliemo Marconi” fu pubblicato nel 1941.
Inoltre il Consiglio accademico, nella seduta del 9 novembre 1940, propose la pubblicazione di un “Bollettino di informazioni” dell’Accademia che vide la luce nel gennaio successivo: questa pubblicazione che aveva una periodicità mensile, avrebbe dovuto portare a conoscenza del mondo esterno non solo la vita accademica e le attività svolte o in corso, ma anche gli studi, i progetti e le pubblicazioni dei singoli accademici.
Durante la presidenza di Federzoni, paradossalmente, si moltiplicarono gli attriti tra i vertici dell’Accademia e quelli del Partito Nazionale Fascista: in particolare il PNF lamentava la scarsità di benemerenze fasciste e la condotta politica sospetta di alcuni premiati e soprattutto di alcuni soci, e la scarsa considerazione in cui erano tenute le indicazioni degli organi di Partito nelle proposte per le nuove nomine. Questi episodi crebbero di numero e di importanza dopo la soppressione dell’Accademia dei Lincei, a seguito del progressivo deterioramento qualitativo e d’immagine subito dalle istituzioni culturali italiane in conseguenza delle leggi razziali, che rendeva più aggressivi i gruppi estremisti e meno qualificati del Fascismo. Federzoni riuscì a contenere queste pressioni, valendosi abilmente dell’appoggio del Ministro dell’Educazione Nazionale Bottai e soprattutto del rapporto personale con Mussolini. Meritano di essere richiamati in proposito l’atteggiamento assunto nei confronti di Fermi dopo la sua partenza per gli Stati Uniti, le proteste di Starace nel 1939 per essere stato tenuto all’oscuro delle nuove nomine di accademici, la polemica tra Federzoni e il giornale dei Gruppi Universitari Fascisti di Roma per la nomina di Bacchelli, l’opposizione alla nomina di Agostino Gemelli, patrocinata da Filippo Bottazzi e da Roberto Farinacci.
Questi episodi, peraltro, dimostrano in modo inequivocabile che l’ultima parola in materia di Accademia d’Italia era sempre riservata a Mussolini, che operava in quest’ambito con estrema cautela e non sono quindi da considerare come manifestazioni di indipendenza politica del sodalizio.
Nella seduta del Gran Consiglio del 24 luglio 1943, Federzoni fu uno dei firmatari dell’ordine del giorno Grandi, in agosto si dimise dalla presidenza dell’Accademia e fu poi condannato in contumacia al processo di Verona. Ma, con l’avvento del 25 luglio 1943, l’Accademia aveva di fatto interrotto ogni attività, e dopo l’8 settembre si trasferì al Nord, stabilendo la sua sede a Firenze.
Con Federzoni, l’apparente autonomia della cultura della politica che sembrava caratterizzare l’azione di Marconi, lasciò il posto alla piena e palese accettazione del compito “imperiale” di dare una base culturale alle imprese dell’Italia di Mussolini (realizzando, per dirla con il linguaggio del consiglio direttivo dell’istituzione «la perfetta aderenza dell’Accademia ai problemi relativi alla posizione storica della nazione»). Pur non cessando dal dare buoni frutti culturali, l’Accademia, si allineò a tutte le battaglie del regime: quella del “voi” contro il “lei”, quella contro le “parole esotiche”, quella per l’architettura piacentiniana.
L’8 giugno 1939 l’Accademia dei Lincei si fuse con l’Accademia d’Italia: Federzoni, autore di quella che fu un’autentica impresa, ne aggregò anche i membri, tra i quali Luigi Einaudi, Arturo Carlo Jemolo, Concetto Marchesi, Giovanni Gentile, Giuseppe Bottai, Cesare Maria De Vecchi.
Se la legislazione successiva al 1930 poco cambiava l’organizzazione iniziale dell’Accademia d’Italia, la legge[32] che sanciva la fusione tra l’Accademia d’Italia e l’Accademia nazionale dei Lincei, portò non pochi problemi per arrivare ad un nuovo assetto.
Il regolamento di attuazione e il regolamento del personale sarebbero stati però approvati con decreti legislativi solo l’11 febbraio 1941. Nel regolamento dell’Accademia poche erano le modifiche rispetto al precedente; esse riguardavano l’aspetto[33] per il quale il segretario generale non era più tenuto a sottoscrivere l’avviso relativo ai pareri che l’Accademia doveva dare, se richiesta dal capo del Governo, su specifici problemi nel campo delle scienze, lettere ed arti e neppure sottoscrivere i resoconti delle adunanze dell’Accademia e delle classi. Cambiava inoltre l’organizzazione degli uffici.
Il 22 maggio 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra, l’alto consenso approva all’unanimità un messaggio che esprime a Mussolini la certezza delle nuove e più alte mete alle quali egli condurrà la Patria Fascista, e pose al servizio di questa tutte le proprie energie di fede, di pensiero e di opere per unirsi allo sforzo compatto ed appassionato dell’intero popolo italiano. Poi le esigenze della guerra presero il primo posto e culturalmente scese la notte.
Sempre durante la presidenza di Federzoni, nel 1942, l’Accademia d’Italia dispose di un fondo inalienabile e perpetuo devoluto per volontà testamentale di Antonio Feltrinelli[34], nipote di Giacomo, fondatore della Società Collettiva Feltrinelli, da cui sarebbe in seguito sorta la società per azioni Fratelli Feltrinelli s.p.a., con le varie società collegate; Quando questi assunse la direzione degli affari del gruppo familiare nel 1935, affiancando alla Società Fratelli Feltrinelli due nuove Società industriali, la Masonite Feltrinelli e l’Alecta, oltre alla Banca Unione, dopo la morte dei fratelli, rimasto solo, decise di disporre della sua fortuna personale per fondare una grande istituzione culturale italiana “sul tipo della Fondazione Nobel”. Pertanto, nel testamento del 15 marzo 1936[35], istituì erede universale l’Accademia d’Italia e dispose che fosse costituito un fondo inalienabile e perpetuo destinato a: «premiare il lavoro, lo studio, l’intelligenza, quegli uomini insomma che maggiormente si distinguono in alte opere, nelle arti, nelle scienze, poiché essi sono i veri benefattori del proprio paese e dell’umanità»[36].
Un anno prima di poter disporre del fondo Feltrinelli, in occasione dell’adunanza solenne della Reale Accademia d’Italia del 21 aprile 1941, furono conferiti numerosi premi a meritevoli nelle classi delle Arti, delle Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali e delle Lettere. Per quest’ultima, Dino Buzzati ricevette un premio di lire cinquemila con la seguente motivazione: «Nel romanzo e favola e poema, Il Deserto dei Tartari, Dino Buzzati, presenta uomini e cose con una lucente precisione di realtà trasfigurata a mito. È la rappresentazione esaltata e crudele del sentimento del dovere, e della sua potenza sulla anime umane: dovere generico e quasi inafferrabile; un imperativo che, tanto più attraente quanto è più misterioso, inebria e divora le vite degli uomini e trasforma in luce la loro memoria».
Per quanto riguarda i premi reali, nel 1939, in seguito della fusione con l’“Accademia nazionale dei Lincei”, il Re confermò all’Accademia d’Italia i due premi annuali di £ 10.000 ciascuno, da conferire alle migliori memorie e scoperte riguardanti le scienze fisiche, matematiche, naturali o le scienze morali, storiche, filologiche. Le memorie e scoperte dovevano essere assolutamente inedite e l’Accademia aveva la facoltà di pubblicare nei suoi “Atti” quelle ritenute meritevoli. Qualora il premio non fosse stato assegnato, l’Accademia doveva sottoporre all’approvazione del Re le sue proposte per erogare il relativo fondo.
La presidenza di Federzoni si chiuse il 25 luglio 1943: avendo egli appoggiato l’ordine del giorno Grandi, il 24 febbraio del 1944 un decreto di Mussolini lo destituì da membro dell’Accademia (assieme ad Alberto De Stefanis ed ai membri aggregati De Vecchi e Bottai).
Il suo posto fu preso nel novembre 1943 da Giovanni Gentile, con il quale iniziò l’ultimo capitolo dell’Accademia. Gli Alleati avanzavano e nel gennaio del 1944 Giovanni Gentile cominciò ad organizzare il trasferimento della sede a Firenze, proseguito per tutto il mese di gennaio 1944[37]. La nomina di Gentile, tuttavia, non piacque alle componenti più estreme dei fascisti, rimasti piuttosto delusi da un precedente discorso del filosofo, tenutosi il 24 giugno in Campidoglio, nel quale aveva esortato il popolo italiano a stringersi attorno al regime, in un momento particolarmente difficile per la Patria le cui sorti belliche erano da tempo segnate.
Respinto da una parte del regime e combattuto dagli oppositori, il progetto di Gentile di promuovere una politica di “pacificazione” delineato nel discorso di giugno, previo consenso di Mussolini, nacque sotto tristi presagi.
All’alba della primavera del 1944, il 19 marzo, Gentile inaugurò l’attività dell’Accademia d’Italia della repubblica di Salò a Palazzo Serristori. Alla presenza di soli nove soci e di alcuni ministri del governo repubblichino, Gentile tenne il discorso di apertura commemorando Vico nel secondo centenario della morte.
Sebbene deluso dall’andamento delle cose, Gentile si adoperò per dare una riforma all’Accademia d’Italia e, al contempo, ricostituire l’Accademia dei Lincei che, dal 1939, era stata inglobata dall’Accademia di Mussolini.
La riforma sul riordinamento dell’Accademia d’Italia fu approvata con Decreto Legislativo di Mussolini del 30 marzo 1944.
Nella Gazzetta Ufficiale del 14 settembre[38] si legge: «Ai fini del coordinamento degli studi e dei lavori scientifici ed artistici e per l’incremento dei medesimi, sono aggregate all’Accademia d’Italia, conservando completa autonomia di organizzazione e di funzionamento, le seguenti accademie: [segue elenco accademie tra le quali] 6)Accademia Nazionale dei Lincei di Roma, che viene ricostituita sulla base delle norme vigenti anteriormente la legge 8 giugno 1939-XVII, n. 755…»
L’Accademia d’Italia, nella sua nuova organizzazione, avrebbe avuto quaranta accademici eletti con decreto del capo dello Stato, per proposta del ministro dell’educazione nazionale, dopo essere stati designati dall’Accademia stessa, che li sceglieva tra le accademie aggregate. Gli accademici non sarebbero stati più divisi in classi perché[39] l’Accademia «non deve scindersi in reparti, opportuni per la più metodica e ordinata raccolta di quanto viene producendosi nei singoli campi di ricerca e di studio, ma che tendono troppo spesso a trasformarsi addirittura in reparti stagni. Essa deve vedere e giudicare da un punto di vista più elevato, in modo da abbracciare unitariamente e totalitariamente tutti quanti i movimenti intellettuali e culturali del Paese».
Con la stessa riforma era soppresso il Consiglio nazionale delle accademie[40] la cui attività e consistenza patrimoniale passavano all’Accademia stessa.
Il progetto di Gentile non vide mai la luce, ed egli stesso era già stato ucciso il 15 aprile del 1944 da un gruppo di gappisti.
Il governo di Salò non demorse e, noncurante del fatto che il governo Badoglio avesse decretato la soppressione dell’Accademia, ai fascisti il provvedimento era parso dettato da una meschina volontà di vendetta di Benedetto Croce, nominò presidente Giotto Dainelli con “poteri commissariali per l’amministrazione ordinaria e straordinaria dell’Ente e delle istituzioni annesse”.
Dainelli non ebbe la notorietà dei predecessori, pur essendo un valente professore di geografia fisica. Egli assunse con impegno la carica ed il 21 aprile 1944 conferì i premi annuali al matematico Tonelli e allo scrittore Marino Moretti. Dainelli nel giugno decise di trasferire l’Accademia al nord, prima a Bergamo, poi trasferì di nuovo l’Accademia a Villa Carlotta, nei pressi di Tremezzo, sul lago di Como. Il camion per Bergamo fu centrato durante un bombardamento e si persero così sull’Appennino i documenti dell’Accademia d’Italia.
Il 28 settembre 1944, il Governo Bonomi[41] emanò due decreti legislativi che sancivano rispettivamente la soppressione dell’Accademia d’Italia e la ricostituzione dell’Accademia Nazionale dei Lincei.
Tutte le attività, le funzioni e il patrimonio dell’Accademia d’Italia furono devolute all’Accademia Nazionale dei Lincei, che viene così a disporre anche di Villa della Farnesina.
L’attuazione di questa duplice e davvero difficile operazione fu affidata ad un commissario, il prof. Vincenzo Rivera e ad un comitato di Lincei del quale facevano parte Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando, Gaetano De Sanctis, Giulio Emanuele Rizzo, Guido Castelnuovo cui si aggiunsero, nella trasformazione del comitato in vera e propria commissione, Carlo Calisse, Giuseppe Armellini e Raffaello Morghen. Fu un compito non facile per il commissario che dovette adottare provvedimenti d’urgenza sia per il personale che per il patrimonio finanziario. In conseguenza di questo, tutti i funzionari decaddero dall’incarico da dicembre 1944 e tutti furono sottoposti alla commissione d’epurazione, istituita dal commissario internamente all’Accademia per il deferimento all’ufficiale commissione d’epurazione costituita presso il Ministero della pubblica istruzione[42]. Per quanto riguarda il patrimonio, però, il compito si rivelò più gravoso, perché la gestione amministrativa della soppressa Accademia e soprattutto la questione della cospicua eredità Feltrinelli erano ancora nelle mani di Giotto Dainelli a Tremezzo. Solo alla fine di aprile del 1945 si conclusero tutte le pratiche burocratiche e amministrative e l’Accademia dei Lincei potè ricominciare la sua nuova vita, anche se solo il 27 ottobre 1945 il comitato per la ricostituzione dei Lincei portò a termine il suo incarico di epurazione del corpo accademico, rendendo noti gli elenchi degli accademici riammessi e di quelli radiati e i criteri adottati nell’espletamento del compito. Non potendo valutare i titoli scientifici degli accademici, doveva essere esaminata la loro condotta politica durante il Fascismo, dovevano essere automaticamente esclusi gli accademici nominati per ragioni politiche e ancora non dovevano essere riammessi gli accademici d’Italia già Lincei, che avevano partecipato alla seduta indetta a Firenze sotto la presidenza di Gentile, mentre si doveva rinviare ogni provvedimento per gli accademici lincei che non erano presenti al momento a Roma. Sui criteri di giudizio di merito sugli accademici già dal mese di ottobre 1944, Gustavo Giovannoni, facendosi interprete degli umori dei colleghi, aveva scritto al Ministro della pubblica istruzione per richiedere di essere sottoposto alla commissione d’epurazione ministeriale, per un’inchiesta il cui risultato fosse noto al pubblico affinché «gli studiosi ed artisti puri (…) non [fossero] confusi con coloro che [avevano] esercitato una settaria azione politica (…) che [avevano] tratto lucro dalla loro posizione (...)» in quanto Giovannoni riteneva che al momento «(...) il pubblico disprezzo e la pratica esclusione da ogni ufficio statale [coinvolgesse] tutti, Accademia ed Accademici, senza discriminare meriti e colpe (...)» situazione questa non tollerabile in un regime di libertà.
Il decreto legislativo luogotenenziale 16 novembre 1945 n. 80140 pose fine a questa travagliata vicenda stabilendo all’art. 9 che il commissario straordinario, esauriti i suoi compiti, cessava dalle sue funzioni. Il Ministro della Pubblica Istruzione Guido De Ruggiero affidò la ricostituzione del corpo accademico linceo ad una Commissione di anziani lincei presieduta da Benedetto Croce, che tuttavia non riuscì a portare a termine tale compito.
In ogni caso al di là dei giudizi che si possono esprimere sull’Accademia d’Italia, così ampiamente connotata dal regime fascista, non si può non riconoscere che ebbe tra i suoi soci i nomi più prestigiosi della cultura del Novecento nel campo delle lettere, delle arti e della scienza, a partire dai suoi presidenti, Aristide Sartorio, che fu provvisorio, Tommaso Tittoni, Guglielmo Marconi, Gabriele D’Annunzio, Luigi Federzoni, Giovanni Gentile e Giotto Dainelli.
Ciò che impressiona[43] è il vedere accanto a nomi scontati della cultura fascista quelli di ben altre persone: Enrico Fermi, il fisico che espatrierà per non lasciare la moglie ebrea, Giancarlo Vallauri, uno dei primi scienziati dell’elettronica; i poeti Salvatore Di Giacomo, Cesare Pascarella, Ada Negri e Giuseppe Ungaretti; i grecisti Ettore Romagnoli e Ettore Bignone; i glottologi Antonino Pagliaro e Alfredo Trombetti; gli scultori Pietro Canonica e Francesco Messina, il pittore Pietro Gaudenzi; il chimico Francesco Giordano; l’orientalista Giuseppe Tucci; i compositori Pietro Mascagni, Ottorino Respighi, Francesco Cilea, Lorenzo Perosi, Ildebrando Pizzetti e Umberto Giordano; l’archeologo Amedeo Maiuri; gli scrittori Luigi Pirandello, Giovanni Papini, Filippo Tommaso Marinetti, Ardengo Soffici, Riccardo Bacchelli, Massimo Bontempelli ed Emilio Cecchi. E poi Luigi Einaudi, Arturo Carlo Jemolo, Concetto Marchesi, Giovanni Gentile, Armando Carlini, Giuseppe Bottai, Cesare Maria De Vecchi ecc.
Antonio Barbato


[1] Art.2
[2] R.D dell’ 8 aprile 1929
[3] Capitolo III dello statuto 10
[4] Art. 14 del regolamento di attuazione
[5] Art. 15 del regolamento
[6] Il D.P.C. del 26 febbraio 1932 apportò alcune modifiche allo statuto del 1929, in particolare, la denominazione di segretario fu sostituita con quella di segretario generale[6]; il nuovo art. 2, che sostituiva l’art. 7, precisava che in caso di assenza dell’amministratore sarebbe stato il presidente a designare un accademico per esercitare le funzioni di amministratore e che il presidente non avrebbe dovuto più firmare mandati e ordini; in merito alle designazioni delle cariche accademiche stabiliva che, dopo il primo scrutinio e il successivo ballottaggio, si procedesse ad una votazione libera e ad un secondo ballottaggio, qualora gli accademici votati fossero stati in numero inferiore a quelli da designare; lo stesso sarebbe avvenuto per la designazione dei vicesegretari e dei segretari delle classi. Per le nomine dei nuovi accademici il nuovo art. 5 prevedeva che le proposte votate e le relazioni illustrative che le accompagnavano dovevano essere tenute a disposizione degli accademici almeno per tre giorni prima di essere sottoposte all’adunanza generale dell’Accademia. L’art. 6 modificava le votazioni per la formazione delle terne dei nomi da designare; infatti, se dopo il primo ballottaggio non ci fossero stati tre candidati votati con maggioranza assoluta, (ossia la metà più uno dei presenti tenendo anche conto delle schede bianche), la votazione doveva essere rinviata, mentre precedentemente gli accademici potevano proporre un altro candidato.
[7] Decreto 20 maggio 1936
[8] R.D. legge del 21 settembre 1933
[9] Ex art. 4
[10] Ex art. 1 legge 1929, primo comma, lettere f ) e g)
[11] Ex art. 1 dello statuto del 1929
[12] C.f.r art. 35 Legge 7 novembre 1925, n. 1950
[13] alla lettera h)
[14] Ex art. 6
[15] R D 12 dicembre 1940, n. 1947
[16] Legge n.755, 8 giugno 1939.
[17]  Art. 1 dello statuto del 1929
[18] che potevano essere ordinarie e straordinarie
[19] pubblicati in fascicoli periodici e le memorie in cui, man mano che se ne presentava l’occasione e quindi non a scadenza periodica
[20] Ex art. 1 dello statuto
[21] Le pubblicazioni ordinarie e straordinarie dovevano essere proposte dalla classe competente, sottoposte alle deliberazioni del consiglio accademico e approvate infine dall’accademia. Tutte le pubblicazioni dovevano essere curate dal segretario generale con la collaborazione dei segretari delle singole classi per la parte di competenza delle classi stesse.
[22] Il lavoro di traduzione del Kerbaker, impeccabile verseggiatore, fu ammirato anche da Giosuè Carducci, che ebbe modo di dire: “Il canto degli Aria fu a posta ritessuto con parecchie rimembranze degl'inni vedici, dei quali il professore Kerbaker va da qualche tempo pubblicando versioni metriche,dove non so se più ammirare la larga e forte dottrina o la corretta e varia facilità e felicità del verseggiatore italiano ….”
[23] Gli stessi editori tennero a precisare: “Questo lavoro di revisione, emendazione e integrazione che Egli [Kerbaker, n.d.r], rapito dalla morte, non poté fare, è stato fatto da noi. C'è toccato, quindi, supplire ora una o più parole o addirittura un verso intero, ora esercitare il labor limae; altre volte ritoccare leggermente la sua versione…Nella massima parte dei casi il Kerbaker è fedelissimo interprete dell'originale sanscrito e solo raramente se ne discosta quando l'estro poetico sopraffa il filologo pur tanto in lui cospicuo…”
[24] a norma dell’art. 23
[25] R.D. del 12 novembre
[26] Se infatti la legge del 1933 aveva imposto l’obbligo a tutti gli istituti culturali di far prestare giuramento fascista ai loro membri, pena l’espulsione, nel 1937 si stabilì con regio decreto che la nomina del presidente dell’accademia sarebbe avvenuta direttamente con decreto reale, su proposta del capo del Governo, e non più secondo le norme che regolavano le elezioni alle cariche accademiche.
[27] 21 giugno 1938
[28] Lo stesso Fermi ne ricordava i meriti scientifici non solo in ambito fisico: “Benché la sua attività scientifica, a causa della età giovanile, si estenda a meno di un ventennio, Franco Rasetti può ben annoverarsi oggi fra i più notevoli e brillanti fisici sperimentali…Mi piace qui ricordare infine che il Rasetti ha vasta cultura non solo nella fisica, ma in campi assai svariati delle scienze naturali; in particolare le sue conoscenze di biologia sono certamente di primo ordine per un non specialista.
Il Rasetti è ordinario di spettroscopia a Roma, socio nazionale dei Lincei, iscritto al Partito Nazionale Fascista dal 1928 “.
[29] con decreto ministeriale del 15 giugno 1936
[30] Con un’ordinanza del presidente dell’Accademia d’Italia, datata 21 aprile
[31] approvato contemporaneamente alla legge con R.D n. 843
[32] legge 8 giugno 1939 n. 755
[33] Circostanza descritta e contenuta negli articoli 6 e 13
[34] nacque a Milano il I giugno 1887 da Giovanni Feltrinelli
[35] (pubblicato nel 1942)
[36] L'eredità di Antonio Feltrinelli, trasferita per legge all'Accademia Nazionale dei Lincei, dopo l'avvenuta soppressione dell'Accademia d'Italia, è stata costituita in ente morale con Decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1949 con la denominazione “Fondazione Antonio Feltrinelli”. Attualmente il “Fondo Antonio Feltrinelli” è un patrimonio autonomo ed inalienabile, gestito dall'Accademia Nazionale dei Lincei al fine di conferire premi nazionali e internazionali a persone che si siano rese illustri nelle scienze e nelle arti.
I premi si avvicendano annualmente con il seguente ordine:
- 1° Scienze morali e storiche;
- 2° Scienze fisiche, matematiche e naturali,
- 3° Lettere;
- 4° Arti;
- 5° Medicina.
Inoltre è conferito periodicamente un premio per un'impresa eccezionale di alto valore morale e umanitario.
Attualmente, i premi riservati a cittadini italiani ammontano a 65000 Euro, mentre il Premio Internazionale e quello destinato all'impresa eccezionale ammontano a 250000 Euro.
[37] Con una lettera del 9 dicembre 1943, inviata al cancelliere Francesco Pellati, Giovanni Gentile impartiva le disposizioni relative al trasferimento degli uffici a Firenze: “1. La Segreteria, l’Amministrazione, l’Ufficio tecnico e l’Ufficio Premi e Fondazioni devono immediatamente trasferirsi. Rimarranno a Roma in via temporanea, l’Ufficio Biblioteca nonché una sezione dell’Ufficio pubblicazioni, nonché un impiegato di collegamento per la segreteria del Cancelliere. 2. Le gestioni speciali aggregate all’Accademia saranno trasferite a Firenze. Quelle che non potranno trasferirsi sospenderanno temporaneamente l’attività. 3. Tutti i capitali in denaro o titoli saranno trasferiti a Firenze. A Roma presso la Banca d’Italia un fondo nella misura strettamente occorrente per varie esigenze fino al 30 giugno 1944. 4. Il personale viene diviso in a. che deve trasferirsi, b. che deve rimanere a Roma per provvedere ai servizi già detti, c. in eccedenza che dovrà essere collocato in disponibilità”
[38] Art. 5
[39] Come ricorda Dainelli nella relazione con cui accompagnava nel gennaio 1945 la presentazione del nuovo statuto e regolamento
[40] Art. 6
[41] Costituito dopo la liberazione di Roma,
[42] Alcuni furono impiegati provvisoriamente presso l’ufficio stralcio a Roma per coadiuvare il commissario
[43] È un fatto che ha costituito oggettivamente un elemento di influenza corruttrice nei confronti dei giovani del tempo

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